tipologie tartufi

Ma, alla fine, che cosa sono questi benedetti tartufi? E che cosa vuol dire che sono dei funghi ipogei?

Funghi ipogei sono quelli che si caratterizzano per una fruttificazione sotto terra, ossia i tartufi nascono all’interno del suolo. I cercatori, infatti, li trovano di norma sotto qualche centimetro di terra, un paio di decimetri al massimo.
Altra caratteristica dei tartufi è quella di essere sprovvisti di clorofilla.
Si tratta di organismi particolari, tanti da non poter essere classificati né come vegetali né tanto meno come animali.

Rientrano nella classe degli Ascomiceti, ossia la famiglia di funghi che è tipica per la produzione di spore in seno ad ad una struttura cava pluricellulare, chiamata appunta sporangio.
Queste prime righe per inquadrarne l’appartenenza da un punto di vista botanico, passiamo ora, più nel dettaglio, ad osservarne l’aspetto alla vista.

funghi categorie

Come sono fatti i tartufi

Il corpo del tartufo si distingue essenzialmente in tre parti:

  • il micelio,
  • il peridio
  • la gleba

Questo perché con il termine tartufi si suole indicare sia il fungo che il suo frutto, la parte ossia che viene ricercata e commercializzata.
Prima di esaminare i suoi singoli elementi, è necessario, sin da subito, sottolineare come il tartufo prosperi in un delicatissimo equilibrio ambientale, di cui diviene parte integrante.
La stessa sua alimentazione, ad esempio, dipende in maniera totale dagli alberi con cui vive in simbiosi. Più specificatamente si parla di simbiosi micorrizica, indicando con tale termine il rapporto che si instaura tra il micelio fungino e le radici più fini (apici radicali) degli alberi, ai cui piedi nasce.

In un rapporto di utilità reciproca, poiché dagli alberi i tartufi si nutrono, assorbendo sostanze organiche, di contro le piante risultano facilitate nel loro processo di assimilazione di acqua e sali minerali dal suolo.
Un rapporto che si realizza per mezzo della micorrizza, vale a dire il manicotto di forma di clava che viene prodotto dal micelio quando avvolge gli apici radicali.
Una convivenza che, in presenza di specifiche condizioni ambientali. vede il micelio dare luogo al corpo fruttifero, contenente le diverse spore. Una sorta di “frutto” che, a seconda del terreno, assumerà colorazioni diverse e un aspetto globoso e irregolare con dimensioni variabili. Si va dai cosiddetti “balin”, grandi non più di un pisello, agli esemplari più maestosi (e costosi), delle dimensioni anche di una patata.

vita tartufo

Le parti del tartufo: il micelio

Prima di parlare di micelio bisogna fare conoscenza con le ife.
Con questo termine si indicano i vari filamenti del tartufo, considerando come questo organismo disponga di un corpo formato da un intrico di cellule allungate, somiglianti appunto a piccoli tubicini o fibre, la cui somma costituisce il micelio che vive sotto terra.

Le parti del tartufo: il peridio

Dai colori, e le sfumature, più diverse ( si va dal biancastro, rossiccio, bruno o nero), si tratta della scorza esterna del tartufo. Negli esemplari bianchi è quasi liscia e leggermente peloso, mentre nei tartufi neri è ricoperto di verruche. Si tratta di forme più o meno poligonali  che si producono dalle fessure del peridio in fase di crescita del tartufo.

Le parti del tartufo: la gleba

Infine eccoci alla polpa interna. Sino a maturazione appare completamente bianco, per poi lasciare il passo a venature più o meno scure. Sono quest’ultime che contengono gli aschi, dove si formano le spore, piccole cellule (dai 30 ai 60 grammi) preposte alla riproduzione dei tartufi. E la parete colorata delle spore che dà il colore alle venature.
Le spore presentano una forma di tipo elissoide o sferica, con una superficie caratterizzata da un reticolo a maglie più o meno larghe oppure da sottili aculei conici.

Proprio dalle forma ed il colore del peridio, della gleba e delle venature, ovviamente oltre a profumo e sapore, che si può individuare la tipologia della specie. Individuazione che, in caso di dubbi, può richiedere l’analisi microscopica delle spore presso istituti specializzati

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Quali sono i tartufi italiani

Tante le tipologie di tartufo classificate dagli esperti, ma sono fondamentalmente due quelle a cui le persone si riferiscono quando parlano di questi diamanti della terra.

Tuber magnatum Pico

Partenza obbligata dal Tuber magnatum pico, no più comunemente anche come tartufo bianco del Piemonte, o di alba o di Acqualagna.
Si tratta del tartufo più famoso, bramato e costoso. E questa sua fama si trascina, come testimonia lo stesso nome, dall’antichità.
Il suffisso magnatum, infatti, ben lontano dal richiamarne un carattere commestibile, si traduce come ricchi, Signori, poiché, anche un tempo, si trattava di un alimento generalmente presente solo sulle tavole di nobili o ricchi mercanti. Pico, al contrario, è un omaggio al primo studioso che gli ha dedicato una ricerca specifica.

Parlare di tartufo bianco significa parlare d’Italia, anche se ne trovano esemplari anche nel vicino Canton Ticino, nelle regioni della Francia del Sud o nei territori più vicino a noi, dell’ex Yugoslavia, ossia Croazia e Slovenia.
in Italia 3 le regioni principi:Piemonte, la Pianura Padana e l’appennino centrale.
Ambiente ideale per il Tuber Magnatum Pico i terreni marmosi-argillosi, leggermente basici (Ph 7-8), e con una percentuale di calcare che vada dal 5% al 20%.
Lato consistenza, si presentano di medio impasto o biancastri tendenti al sabbiosi o limosi, per via della tracimazione dei fiumi con conseguente formazione di residui.
Non mancano neppure le tartufaie, anche se rigidamente al di sotto dei 450 metri d’altezza. Di solito si tratta di file di alberi che costeggiano fossi e ruscelli, ma anche piantagioni, boschi radi o semplici alberi, anche custoditi all’interno dei tanti parchi pubblici della zona.
Purtroppo, però, le stazioni di produzione del tartufo bianco non presentano segni esteriori per una loro individuazione immediata.

tartufi bianchi

Tuber melanosporum Vittadini

Meno pregiato, ma non meno commercializzato il tartufo nero.
Tecnicamente si parla di Tuber melanosporum Vittadini. L’epiteto melanosporum, mutuato dalla lingua greca, indica le spore scure ed è stato conferito dal micologo lombardo Vittadini, autentico gigante nello studio dei tartufi, come testimoniano le tante altre specie, da lui studiate, e che portano il suo nome ( si pensi al tuber borchi, il brumale, il tuber aestivum, quello mesentericum o il macrosporum).

Un areale il suo ben più esteso rispetto al suo collega bianco, con zone di estrazione ( o produzione), in molte regioni italiane. Non solo nord-ovest, ma anche ad est, Veneto ad esempio, ma anche regioni centrali, quali Umbria o Marche.
Citazione d’obbligo per la terra transalpina, con la Provenza soprattutto, dove si cava con il nome di “Truffe du Pèrigord”.
Terreno ideale quello caratterizzato da un buon drenaggio, moderatamente calcareo (da un 15 ad un 25%), alcalino ( Ph da un 7 all’8,5%) povero di humus e con una presenza argillosa non superiore al 50%. Dovrebbe presentare anche tracce di fosforo, potassio e, come avviene con la terra rossa, di ossido di ferro.
In zone, di norma, che vedono alternarsi ad estati calde, con piogge in Luglio e Agosto, autunni freschi ed inverno non eccessivamente rigidi.

Ancora più numerose le tartufaie (considerando che, a differenza del tartufo bianco, quello nero può essere coltivato) che, quando naturali, si trovano in boschi radi o presso alberi isolati, in zone discretamente soleggiate e anche sino ai 1.000 metri.
A differenza del Tuber magnatum Pico, le isole di crescita sono individuabili da un occhio esperto, vista la tendenza ad un’assenza erbacea nei pressi della piante simbionte.